XXXI.
La domane mi risvegliai completamente guarito. Pensando che un bagno dovesse riescirmi salutare andai a tuffarmi per qualche minuto nelle acque di quel Mediterraneo. Certo quel mare meritava più di tutti tal nome.
Ritornai a far colazione con molto appetito. Hans spendeva la sua scienza culinaria intorno al nostro desinare: aveva acqua e fuoco a sua disposizione in guisa che potè variare alquanto il nostro ordinario. Alle frutta ci servì alcune tazze di caffè, nè mai la deliziosa bevanda mi parve così piacevole al palato.
«Ecco, disse mio zio, l’ora della marea, e non bisogna lasciarci sfuggire l’occasione di studiare siffatto fenomeno.
— Come, la marea? esclamai.
— Senza dubbio.
— L’influenza della luna e del sole si fa sentire fin qui?
— Perchè no? I corpi non sono forse soggetti nel loro complesso all’attrazione universale? Questa massa d’acqua non può dunque sottrarsi alla legge generale! Epperò, non ostante la pressione atmosferica che gravita alla sua superficie, la vedrai sollevarsi al pari dell’Atlantico.»
In questo momento noi premevamo la sabbia della riva e le onde guadagnavano a poco a poco la spiaggia.
«Ecco appunto il flusso che incomincia! Esclamai.
— Sì, Axel, e dagli intervalli di schiuma, tu puoi vedere che il mare si alza dieci piedi all’incirca.
— È meraviglioso.
— No, è naturale.
— Avete un gran dire, zio, ma tutto ciò mi sembra così straordinario che appena è s’io credo ai miei occhi. Chi mai avrebbe immaginato entro la scorza terrestre un vero oceano coi flussi e riflussi, colle brezze e colle tempeste!
— E perchè no? vi è forse una ragione fisica che vi si opponga?
— Io non ne vedo alcuna, poichè mi abbisogna abbandonare il sistema del calore centrale.
— Dunque fin qui la teorica di Davy è giustificata?
— Evidentemente; e quindi nulla si oppone all’esistenza di mari e di regioni nell’interno del globo.
— Senza dubbio, ma disabitati.
— E perchè queste acque non potrebbero dare asilo a qualche pesce d’una specie sconosciuta — Almeno non ne abbiamo visto neppur uno finora.
— Ebbene, noi possiamo fabbricare delle lenze e vedere se l’amo avrà quaggiù tanta fortuna quanta ne ha negli oceani sublunari.
— Proveremo, Axel; ci bisogna penetrare tutti i segreti di queste nuove regioni.
— Ma dove siamo noi, poichè io non vi ho ancora fatto questa domanda alla quale i vostri strumenti han pure dovuto rispondere?
— Orizzontalmente, a trecentocinquanta leghe dall’Islanda.
— Proprio?
— Sono sicuro di non ingannarmi di cinquecento tese.
— E la bussola indica sempre il sud-est?
— Sì, con una declinazione occidentale di diciannove gradi e quarantadue minuti.
— Assolutamente come sulla terra. Quanto alla sua inclinazione avviene un fatto curioso che ho osservato con gran cura.
— E quale?
— Che l’ago invece d’inclinarsi verso il polo come fa nell’emisfero boreale si rialza.
— Conviene dunque concludere che il punto di attrazione magnetica si trova compreso tra la superficie del globo e il luogo in cui noi siamo pervenuti?
— Per l’appunto; ed è probabile che se arriviamo verso la regione polare, al settantesimo grado, là dove James Ross ha scoperto il polo magnetico, vedremo l’ago drizzarsi verticalmente. Dunque il misterioso centro dell’attrazione non si trova a gran profondità.
— Ecco un fatto che la scienza non ha presentito.
— La scienza, giovinotto mio, è fatta di errori, ma di errori che è bene commettere perchè essi conducono a poco a poco al vero.
— E a qual profondità siamo noi?
— A trentacinque leghe.
— Così dunque, diss’io considerando la carta, la parte montuosa della Scozia è sopra di noi, e colà i monti Grampiani elevano le loro vette coperta di neve.
— Sì, rispose il professore ridendo, è un po’ pesante da sopportare, ma la vôlta è solida; il grande architetto dell’universo l’ha fabbricata con buoni materiali, nè mai uomo avrebbe potuto farla così forte! Che sono mai gli archi dei ponti e le arcate delle cattedrali appetto di questa navata che ha tre leghe di raggio e sotto la quale può starsene comodamente un oceano colle sue tempeste?
— Io non temo già che il cielo mi caschi sulla testa; ed ora, zio, quali sono i nostri disegni? Non fate voi conto di ritornare alla superficie del globo?
— Ritornare! mai no; poichè tutto andò così bene finora bisogna, al contrario continuare il nostro viaggio.
— Per altro io non vedo in qual modo potremo penetrare sotto questa liquida pianura!
— Oh io non intendo già di precipitarmivi entro a capo fitto. Ma se a parlar più propriamente gli oceani non sono che laghi, poichè la terra li circonda, con più ragione questo mare interno è circondato dalla massa granitica.
— Intorno a ciò non v’ha dubbio.
— Or bene, io sono sicuro di trovare sulle rive opposte nuove uscite.
— E quanto supponete voi che sia lungo quest’oceano?
— Trenta o quaranta leghe.
— Ah! esclamai, immaginando che tale stima doveva essere inesatta.
— Così non abbiamo tempo da perdere e da domani ci metteremo in mare.»
Involontariamente cercai cogli occhi la nave che doveva trasportarci.
«Ah, dissi, c’imbarcheremo; sta bene, ma su qual bastimento?
— Non sarà già sopra un bastimento, giovinotto mio, ma sopra una solida zattera.
— Una zattera! Non è più facile costrurre una zattera d’un naviglio; ed io non vedo…
— Tu non vedi, Axel, ma se tu ascoltassi potresti intendere.
— Intendere!
— Sì, certi colpi di martello i quali ti apprenderebbero che Hans è già all’opera.
— Costruisce egli una zattera?
— Come! ed ha già atterrato degli alberi colla sua accetta?
— No, gli alberi erano già a terra. Vieni e lo vedrai all’opera.»
Dopo un quarto d’ora di strada, dall’altro lato del promontorio che formava il piccolo porto naturale, vidi Hans al lavoro. Alcuni passi ancora e gli fui accanto. Con mia gran meraviglia una zattera a metà compiuta si stendeva sulla sabbia; era fatta di travi di un legno speciale, e gran numero di panconi, di curvature e di fianchi di navi d’ogni sorta ingombravano letteralmente il suolo.
Vi era di che costrurre una intiera marina.
«Zio, esclamai, che legno è questo?
— Pino, abete, betulla, tutte le specie delle conifere del nord mineralizzate sotto l’azione delle acque del mare.
— È egli possibile?
— È ciò che si chiama surtarbrandur o legno fossile.
— Ma allora, al pari delle ligniti, deve avere la durezza della pietra e non potrà galleggiare.
— Qualche volta ciò avviene. Vi han di cotali legni che son divenuti veri antraciti; ma altri al pari di questi non hanno subito se non un principio di trasformazione fossile. Guarda,» aggiunse mio zio gettando in mare uno dei preziosi rottami.
Il pezzo di legno dopo esser sparito ritornò alla superficie dei flutti e galleggiò secondo le loro ondulazioni.
«Sei convinto? disse mio zio.
— Convinto tanto più che la cosa non è credibile.»
Il domani, alla sera, in grazia dell’abilità della guida, la zattera era compiuta; aveva dieci piedi di lunghezza e cinque di larghezza. Le travi di surtarbrandur, collegate fra di loro per mezzo di forti corde, offrivano una superficie solida; e una volta varata, la scialuppa improvvisata galleggiò tranquillamente sulle onde del mare Lidenbrock.
Edizione: Jules Verne. Viaggio al centro della Terra. Milano, Fratelli Treves Editori, 1874.
Fonte: Internet Archive
XXXI.
Preparations For A Voyage Of Discovery
The next morning I awoke feeling perfectly well. I thought a bathe would do me good, and I went to plunge for a few minutes into the waters of this mediterranean sea, for assuredly it better deserved this name than any other sea.
I came back to breakfast with a good appetite. Hans was a good caterer for our little household; he had water and fire at his disposal, so that he was able to vary our bill of fare now and then. For dessert he gave us a few cups of coffee, and never was coffee so delicious.
“Now,” said my uncle, “now is the time for high tide, and we must not lose the opportunity to study this phenomenon.”
“What! the tide!” I cried. “Can the influence of the sun and moon be felt down here?”
“Why not? Are not all bodies subject throughout their mass to the power of universal attraction? This mass of water cannot escape the general law. And in spite of the heavy atmospheric pressure on the surface, you will see it rise like the Atlantic itself.”
At the same moment we reached the sand on the shore, and the waves were by slow degrees encroaching on the shore.
“Here is the tide rising,” I cried.
“Yes, Axel; and judging by these ridges of foam, you may observe that the sea will rise about twelve feet.”
“This is wonderful,” I said.
“No; it is quite natural.”
“You may say so, uncle; but to me it is most extraordinary, and I can hardly believe my eyes. Who would ever have imagined, under this terrestrial crust, an ocean with ebbing and flowing tides, with winds and storms?”
“Well,” replied my uncle, “is there any scientific reason against it?”
“No; I see none, as soon as the theory of central heat is given up.”
“So then, thus far,” he answered, “the theory of Sir Humphry Davy is confirmed.”
“Evidently it is; and now there is no reason why there should not be seas and continents in the interior of the earth.”
“No doubt,” said my uncle; “and inhabited too.”
“To be sure,” said I; “and why should not these waters yield to us fishes of unknown species?”
“At any rate,” he replied, “we have not seen any yet.”
“Well, let us make some lines, and see if the bait will draw here as it does in sublunary regions.”
“We will try, Axel, for we must penetrate all secrets of these newly discovered regions.”
“But where are we, uncle? for I have not yet asked you that question, and your instruments must be able to furnish the answer.”
“Horizontally, three hundred and fifty leagues from Iceland.”
“So much as that?”
“I am sure of not being a mile out of my reckoning.”
“And does the compass still show south-east?”
“Yes; with a westerly deviation of nineteen degrees forty-five minutes, just as above ground. As for its dip, a curious fact is coming to light, which I have observed carefully: that the needle, instead of dipping towards the pole as in the northern hemisphere, on the contrary, rises from it.”
“Would you then conclude,” I said, “that the magnetic pole is somewhere between the surface of the globe and the point where we are?”
“Exactly so; and it is likely enough that if we were to reach the spot beneath the polar regions, about that seventy-first degree where Sir James Ross has discovered the magnetic pole to be situated, we should see the needle point straight up. Therefore that mysterious centre of attraction is at no great depth.”
I remarked: “It is so; and here is a fact which science has scarcely suspected.”
“Science, my lad, has been built upon many errors; but they are errors which it was good to fall into, for they led to the truth.”
“What depth have we now reached?”
“We are thirty-five leagues below the surface.”
“So,” I said, examining the map, “the Highlands of Scotland are over our heads, and the Grampians are raising their rugged summits above us.”
“Yes,” answered the Professor laughing. “It is rather a heavy weight to bear, but a solid arch spans over our heads. The great Architect has built it of the best materials; and never could man have given it so wide a stretch. What are the finest arches of bridges and the arcades of cathedrals, compared with this far reaching vault, with a radius of three leagues, beneath which a wide and tempest-tossed ocean may flow at its ease?”
“Oh, I am not afraid that it will fall down upon my head. But now what are your plans? Are you not thinking of returning to the surface now?”
“Return! no, indeed! We will continue our journey, everything having gone on well so far.”
“But how are we to get down below this liquid surface?”
“Oh, I am not going to dive head foremost. But if all oceans are properly speaking but lakes, since they are encompassed by land, of course this internal sea will be surrounded by a coast of granite, and on the opposite shores we shall find fresh passages opening.”
“How long do you suppose this sea to be?”
“Thirty or forty leagues; so that we have no time to lose, and we shall set sail to-morrow.”
I looked about for a ship.
“Set sail, shall we? But I should like to see my boat first.”
“It will not be a boat at all, but a good, well-made raft.”
“Why,” I said, “a raft would be just as hard to make as a boat, and I don’t see —”
“I know you don’t see; but you might hear if you would listen. Don’t you hear the hammer at work? Hans is already busy at it.”
“What, has he already felled the trees?”
“Oh, the trees were already down. Come, and you will see for yourself.”
After half an hour’s walking, on the other side of the promontory which formed the little natural harbour, I perceived Hans at work. In a few more steps I was at his side. To my great surprise a half-finished raft was already lying on the sand, made of a peculiar kind of wood, and a great number of planks, straight and bent, and of frames, were covering the ground, enough almost for a little fleet.
“Uncle, what wood is this?” I cried.
“It is fir, pine, or birch, and other northern coniferae, mineralised by the action of the sea. It is called surturbrand, a variety of brown coal or lignite, found chiefly in Iceland.”
“But surely, then, like other fossil wood, it must be as hard as stone, and cannot float?”
“Sometimes that may happen; some of these woods become true anthracites; but others, such as this, have only gone through the first stage of fossil transformation. Just look,” added my uncle, throwing into the sea one of those precious waifs.
The bit of wood, after disappearing, returned to the surface and oscillated to and fro with the waves.
“Are you convinced?” said my uncle.
“I am quite convinced, although it is incredible!”
By next evening, thanks to the industry and skill of our guide, the raft was made. It was ten feet by five; the planks of surturbrand, braced strongly together with cords, presented an even surface, and when launched this improvised vessel floated easily upon the waves of the Liedenbrock Sea.
Journey to the Center of the Earth (1877) by Jules Verne, translated by Frederick Amadeus Malleson
Chapitre 31
Le lendemain je me réveillai complètement guéri. Je pensai qu’un bain me serait très salutaire, et j’allai me plonger pendant quelques minutes dans les eaux de cette Méditerranée. Ce nom, à coup sûr, elle le méritait entre tous.
Je revins déjeuner avec un bel appétit. Hans s’entendait à cuisiner notre petit menu ; il avait de l’eau et du feu à sa disposition, de sorte qu’il put varier un peu notre ordinaire.
Au dessert, il nous servit quelques tasses de café, et jamais ce délicieux breuvage ne me parut plus agréable à déguster.
« Maintenant, dit mon oncle, voici l’heure de la marée, et il ne faut pas manquer l’occasion d’étudier ce phénomène.
— Comment, la marée ! m’écriai-je.
— Sans doute.
— L’influence de la lune et du soleil se fait sentir jusqu’ici ?
— Pourquoi pas ? Les corps ne sont-ils pas soumis dans leur ensemble à l’attraction universelle ? Cette masse d’eau ne peut donc échapper à cette loi générale. Aussi, malgré la pression atmosphérique qui s’exerce à sa surface, tu vas la voir se soulever comme l’Atlantique lui-même. »
En ce moment nous foulions le sable du rivage, et les vagues gagnaient peu à peu la grève.
« Voilà bien le flot qui commence, m’écriai-je.
— Oui, Axel, et d’après ces relais d’écume, tu peux voir que la mer s’élève d’une dizaine de pieds environ.
— C’est merveilleux !
— Non, c’est naturel.
— Vous avez beau dire, mon oncle, tout cela me paraît extraordinaire, et c’est à peine si j’en crois mes yeux. Qui eût jamais imaginé dans cette écorce terrestre un océan véritable, avec ses flux et ses reflux, avec ses brises, avec ses tempêtes !
— Pourquoi pas ? Y a-t-il une raison physique qui s’y oppose ?
— Je n’en vois pas, du moment qu’il faut abandonner le système de la chaleur centrale.
— Donc, jusqu’ici la théorie de Davy se trouve justifiée ?
— Évidemment, et dès lors rien ne contredit l’existence de mers ou de contrées à l’intérieur du globe.
— Sans doute, mais inhabitées.
— Bon ! pourquoi ces eaux ne donneraient-elles pas asile à quelques poissons d’une espèce inconnue ?
— En tout cas, nous n’en avons pas aperçu un seul jusqu’ici.
— Eh bien, nous pouvons fabriquer des lignes et voir si l’hameçon aura autant de succès ici-bas que dans les océans sublunaires.
— Nous essayerons, Axel, car il faut pénétrer tous les secrets de ces régions nouvelles.
— Mais où sommes-nous ? mon oncle, car je ne vous ai point encore posé cette question à laquelle vos instruments ont dû vous répondre.
— Horizontalement, à trois cent cinquante lieues de l’Islande.
— Tout autant ?
— Je suis sûr de ne pas me tromper de cinq cents toises.
— Et la boussole indique toujours le sud-est ?
— Oui, avec une déclinaison occidentale de dix-neuf degrés et quarante-deux minutes, comme sur terre, absolument. Pour son inclinaison, il se passe un fait curieux que j’ai observé avec le plus grand soin.
— Et lequel ?
— C’est que l’aiguille, au lieu de s’incliner vers le pôle, comme elle le fait dans l’hémisphère boréal, se relève au contraire.
— Il faut donc en conclure que le point d’attraction magnétique se trouve compris entre la surface du globe et l’endroit où nous sommes parvenus ?
— Précisément, et il est probable que, si nous arrivions vers les régions polaires, vers ce soixante-dixième degré où James Ross a découvert le pôle magnétique, nous verrions l’aiguille se dresser verticalement. Donc, ce mystérieux centre d’attraction ne se trouve pas situé à une grande profondeur.
— En effet, et voilà un fait que la science n’a pas soupçonné.
— La science, mon garçon, est faite d’erreurs, mais d’erreurs qu’il est bon de commettre, car elles mènent peu à peu à la vérité.
— Et à quelle profondeur sommes-nous ?
— À une profondeur de trente-cinq lieues.
— Ainsi, dis-je en considérant la carte, la partie montagneuse de l’Écosse est au-dessus de nous, et, là, les monts Grampians élèvent à une prodigieuse hauteur leur cime couverte de neige.
— Oui, répondit le professeur en riant. C’est un peu lourd à porter, mais la voûte est solide ; le grand architecte de l’univers l’a construite en bons matériaux, et jamais l’homme n’eût pu lui donner une pareille portée ! Que sont les arches des ponts et les arceaux des cathédrales auprès de cette nef d’un rayon de trois lieues, sous laquelle un océan et des tempêtes peuvent se développer à leur aise !
— Oh ! je ne crains pas que le ciel me tombe sur la tête. Maintenant, mon oncle, quels sont vos projets ? Ne comptez-vous pas retourner à la surface du globe ?
— Retourner ! Par exemple ! Continuer notre voyage, au contraire, puisque tout a si bien marché jusqu’ici.
— Cependant je ne vois pas comment nous pénétrerons sous cette plaine liquide.
— Oh ! je ne prétends point m’y précipiter la tête la première. Mais si les océans ne sont, à proprement parler, que des lacs, puisqu’ils sont entourés de terre, à plus forte raison cette mer intérieure se trouve-t-elle circonscrite par le massif granitique.
— Cela n’est pas douteux.
— Eh bien ! sur les rivages opposés, je suis certain de trouver de nouvelles issues.
— Quelle longueur supposez-vous donc à cet océan ?
— Trente ou quarante lieues.
— Ah ! fis-je, tout en imaginant que cette estime pouvait bien être inexacte.
— Ainsi nous n’avons pas de temps à perdre, et dès demain nous prendrons la mer. »
Involontairement je cherchai des yeux le navire qui devait nous transporter.
« Ah ! dis-je, nous nous embarquerons. Bien ! Et sur quel bâtiment prendrons-nous passage ?
— Ce ne sera pas sur un bâtiment, mon garçon, mais sur un bon et solide radeau.
— Un radeau ! m’écriai-je. Un radeau est aussi impossible à construire qu’un navire, et je ne vois pas…
— Tu ne vois pas, Axel, mais si tu écoutais, tu pourrais entendre !
— Entendre ?
— Oui, certains coups de marteau qui t’apprendraient que Hans est déjà à l’œuvre.
— Il construit un radeau ?
— Oui.
— Comment ! il a déjà fait tomber des arbres sous sa hache ?
— Oh ! les arbres étaient tout abattus. Viens, et tu le verras à l’ouvrage. »
Après un quart d’heure de marche, de l’autre côté du promontoire qui formait le petit port naturel, j’aperçus Hans au travail. Quelques pas encore, et je fus près de lui. À ma grande surprise, un radeau à demi terminé s’étendait sur le sable ; il était fait de poutres d’un bois particulier, et un grand nombre de madriers, de courbes, de couples de toute espèce, jonchaient littéralement le sol. Il y avait là de quoi construire une marine entière.
« Mon oncle, m’écriai-je, quel est ce bois ?
— C’est du pin, du sapin, du bouleau, toutes les espèces des conifères du Nord, minéralisées sous l’action des eaux de la mer.
— Est-il possible ?
— C’est ce qu’on appelle du « surtarbrandur » ou bois fossile.
— Mais alors, comme les lignites, il doit avoir la dureté de la pierre, et il ne pourra flotter ?
— Quelquefois cela arrive ; il y a de ces bois qui sont devenus de véritables anthracites ; mais d’autres, tels que ceux-ci, n’ont encore subi qu’un commencement de transformation fossile. Regarde plutôt, » ajouta mon oncle en jetant à la mer une de ces précieuses épaves.
Le morceau de bois, après avoir disparu, revint à la surface des flots et oscilla au gré de leurs ondulations.
« Es-tu convaincu ? dit mon oncle.
— Convaincu surtout que cela n’est pas croyable ! »
Le lendemain soir, grâce à l’habileté du guide, le radeau était terminé ; il avait dix pieds de long sur cinq de large ; les poutres de surtarbrandur, reliées entre elles par de fortes cordes, offraient une surface solide, et, une fois lancée, cette embarcation improvisée flotta tranquillement sur les eaux de la mer Lidenbrock.
Voyage au centre de la Terre, Jules Verne, ed. J. Hetzel et Cie, .
Capítulo 31
Al día siguiente, desperté completamente curado. Pensé que un baño me sería altamente beneficioso, y me fui a sumergir, durante algunos minutos, en las aguas de aquel mar que es, sin género de duda, el que tiene más derecho que todos al nombre de Mediterráneo.
Volví a la gruta con un excelente apetito. Hans estaba cocinando nuestro frugal almuerzo. Como disponía de agua y fuego, pudo dar alguna variación a nuestras ordinarias comidas. A la hora de los postres, nos sirvió algunas tazas de café, y jamás este delicioso brebaje me pareció tan exquisito al paladar.
—Ahora —dijo mi tío—, ha llegado la hora de la marea, y no debernos desperdiciar la ocasión de estudiar este fenómeno.
—¡Cómo la marea! —exclamé.
—Sin duda.
—¿Hasta aquí llega la influencia del sol y de la luna?
—¿Por qué no? ¿Acaso no se hallan los cuerpos sometidos en conjunto a los efectos de la gravitación universal? Pues, siendo así, no puede substraerse esta masa de agua a la ley general. Por consiguiente, a pesar de la presión atmosférica que se ejerce en su superficie vas a verla subir como el Atlántico mismo.
En aquel momento pisábamos la arena de la playa, y las olas avanzaban cada vez más sobre ella.
—Ya comienza a subir la marea —exclamé.
—Sí Axel, y a juzgar por estas marcas de espuma, puedes ver que han de elevarse las aguas aproximadamente diez pies.
—¡Es maravilloso!
—No: es lo más natural.
—Usted dirá lo que quiera, pero a mi todo esto me parece extraordinario, y apenas si me atrevo a dar crédito a mis ojos. ¿Quién hubiera imaginado jamás que dentro de la certeza terrestre existiera un verdadero océano, con sus flujos y reflujos, sus brisas y sus tempestades?
—¿Por qué no? ¿Existe por ventura alguna razón física que se oponga a ella?
—Ninguna, desde el momento que es preciso abandonar la teoría del calor central.
—¿De suerte que, hasta aquí, la teoría de Davy se encuentra justificada?
—Evidentemente, y siendo así, no hay nada que se oponga a la existencia de mares o de campiñas en el interior del globo.
—Sin duda, pero inhabitados.
—Pero, ¿por qué estas aguas no han de poder albergar algunos peces de especies desconocidas?
—Sea de ello lo que quiera, hasta el momento actual no hemos visto ni uno solo.
—Podemos improvisar algunos aparejos, y ver si los anzuelos obtienen aquí abajo tan buen éxito como en les océanos sublunares.
—Lo ensayaremos, Axel porque es preciso penetrar todos los secretos de estas regiones nuevas.
—Pero, ¿dónde estamos tío? Porque no le he dirigido hasta ahora esta pregunta que sus instrumentos de usted han debido contestar.
—Horizontalmente, a trescientas cincuenta leguas de Islandia.
—¿Tan lejos?
—Tengo la seguridad de no haberme equivocado en quinientas toesas.
—¿Y la brújula sigue indicando el Sudeste?
—Sí, con una inclinación occidental de diez y nueve grados y cuarenta y dos minutos, exactamente igual que en la superficie de la tierra. Respecto a su inclinación ocurre un hecho curioso que he observado con la mayor escrupulosidad.
—¿Qué hecho?
—Que la aguja, en vez de inclinarse hacia el polo, como ocurre en el hemisferio boreal, se levanta, por el contrario.
—Eso parece indicar que el centro de atracción magnética se encuentra comprendido entra la superficie del globo y el lugar donde nos hallamos.
—Exacto; y, probablemente, si llegásemos bajo las regiones polares, hacia el grado 70 en que Jacobo Ross descubrió el polo magnético, veríamos la aguja en posición vertical. Así, pues, este misterioso centro de atracción no se halla situado a una gran profundidad.
—Cierto, y éste es un hecho que la ciencia no ha sospechado siquiera.
—La ciencia, hijo mío, está llena de errores; pero de errores que conviene conocer, porque conducen poco a poco a la verdad.
—Y, ¿a qué profundidad nos hallamos?
—A una profundidad de treinta y cinco leguas.
—De esta suerte —observé—, estudiando atentamente el mapa, tenemos sobre nuestras cabezas la parte montañosa de Escocia, donde están los montes Grampianos, cuyas cimas cubiertas de nieve se elevan a una altura prodigiosa.
—Sí —respondió el profesor sonriendo—, la carga es algo pesada; pero la bóveda es sólida. El sabio arquitecto, autor del universo, la construyó con buenos materiales, y jamás hubieran podido los hombres darle dimensiones tan grandes. ¿Qué son los arcos de los puentes y las bóvedas de las catedrales al lado de esta nave de tres leguas de radio, bajo la cual puede desarrollarse libremente un océano con todas sus tempestades?
—¡Oh! No temo por cierto, que el cielo pueda caérseme encima de la cabeza. Y, ahora, dígame, tío, ¿cuáles son sus proyectos? ¿No piensa usted regresar a la superficie del globo?
—¿Regresar? ¡Qué disparate! Por el contrario, proseguir nuestro viaje, ya que todo, hasta ahora, nos ha salido tan bien.
—Sin embargo, no veo el medio de penetrar por debajo de esta llanura líquida.
—No te imagines que pienso arrojarme a ella de cabeza. Pero si los océanos no son, propiamente hablando, más que lagos, puesto que se hallan rodeados de tierra, con mayor razón lo es este mar interior que se halla circunscrito por el macizo de granito.
—Eso no cabe duda.
—Pues bien, en la orilla opuesta tengo la seguridad de encontrar nuevas salidas.
—¿Qué longitud le calcula usted a este océano?
—Treinta o cuarenta leguas.
—¡Ah! —exclamé yo, sospechando que este cálculo bien podía ser inexacto.
—De manera que no tenemos tiempo que perder, y mañana nos haremos a la mar.
Involuntariamente, busqué con los ojos el barco que habría de transportarnos.
—¡Ah —dije—. ¿Nos vamos a embarcar? Me parece muy bien. Y, ¿en qué buque tomaremos pasaje?
—No será en ningún buque, hijo mío, sino en una sólida balsa.
—Una balsa —exclamé—; una balsa es casi tan difícil de construir como un buque: y, por más que miro, no veo…
—Cierto que no ves, Axel; pero si escuchases, oirías
—¿Oír?
—Sí, ciertos martillazos que te demostrarían que Hans no está con los brazos cruzados.
—¿Está construyendo una balsa?
—Sí.
—Cómo ¿Ha derribado ya algunos árboles con el hacha?
—¡Oh! los árboles estaban ya derribados. Ven y verás su obra.
Después de un cuarto de hora de marcha, descubrí a Hans trabajando, al otro lado del promontorio que formaba el puerto natural; y unos momentos después, hallábame a su lado. Con gran sorpresa mía, contemplé sobre la arena una balsa, ya medio terminada, construida con vigas de una madera especial: y un gran número de maderos de curvas y de ligaduras de toda especie cubrían materialmente el suelo. Había allí para construir una flota entera.
—Tío —dije—, ¿qué madera es esta?
—Son pinos, abetos, abedules y todas las especies de coníferas de los países septentrionales, mineralizadas por la acción del agua del mar.
—¿Es posible?
—Esto es lo que se llama surtarbrandur, o madera fósil.
—Pero entonces deberán tener, como lignitos, la dureza de la piedra, y no podrán flotar.
—A veces ocurre eso. Hay maderas de éstas que se convierten en verdaderas antracitas; pero otras, como las que ves, no han experimentado aún más que un principio de fosilización. Ya verás.
Y acompañando la acción a la palabra, arrojó al mar uno de aquellos trozos de madera, el cual, después de sumergirse, volvió a subir a la superficie del agua, donde flotó mecido por las olas.
—¿Te has convencido? —Me preguntó mi tío.
—Convencido principalmente de que todo lo que veo es increíble.
Al anochecer del siguiente día, gracias a la habilidad de Hans, estaba terminada la balsa, que medía diez pies de longitud por cinco de ancho. Las vigas de surtarbrandur, amarradas unas a otras con resistentes cuerdas, ofrecían una superficie bien sólida, y una vez lanzada al agua, la improvisada embarcación flotó tranquilamente sobre las olas del mar de Lidenbrock.
Viaje al centro de la Tierra (1864), J. Verne
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